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    De Minaur scuote le Finals: “Ho toccato il fondo, poi ho capito chi volevo essere in campo”

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    L’australiano svela i retroscena dei giorni più difficili della sua stagione e racconta come ha trasformato la crisi in una rinascita mentale: “Non giocavo più secondo i miei termini. Poi qualcosa è cambiato”

    Sembrava un giocatore a pezzi, è tornato come un uomo nuovo. Alex De Minaur si è presentato in conferenza stampa dopo la vittoria su Taylor Fritz con una sincerità disarmante, raccontando senza filtri il lato oscuro della sua settimana torinese. Nessuna retorica, nessun eroismo: solo un professionista che ammette di aver vacillato. “Due giorni fa ero in un posto che non auguro a nessuno,” ha spiegato. “Non provavo più nulla se non frustrazione. Sentivo di aver perso il controllo.”

    Quella sconfitta contro Musetti lo aveva svuotato. Si era seduto davanti ai giornalisti parlando di limiti, di dolore, di un tennis che in quel momento non riconosceva più. Oggi il tono è diverso, più calmo, più lucido. La ferita non è sparita, ma sembra aver trovato un posto dove poter essere rimarginata in pace. “Mi sono detto che avevo un solo compito: giocare a modo mio. Senza pensare al risultato, senza fare conti. Solo così potevo ritrovare un po’ di me stesso.”

    Un lavoro, però, che non è stato solitario. Alex ha parlato del team come si parla di una famiglia, quasi con gratitudine. “Sono fortunato. Mi hanno tirato fuori quando non riuscivo più a farlo da solo,” ha confidato, lasciando intuire quanto fosse profondo quel buio che si era creato dopo il KO contro il carrarino. In quel momento il giocatore australiano ha capito che la partita più difficile non era quella con Fritz, ma con le aspettative che lui stesso si caricava addosso.

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    In effetti, nel match con Taylor, il cambio di mentalità è stato evidente: più coraggio, più iniziativa, meno paura di sbagliare. “A volte mi rinchiudo nella mia comfort zone, resto dietro, reagisco. Oggi ho deciso di aggredire,” ha detto. “Anche nei momenti difficili ho scelto di giocare per vincere, non per evitare di perdere. Ed è per questo che sono orgoglioso.”

    Dopo il match point, è venuto fuori l’uomo, prima dell’atleta: “La prima sensazione è stata di sollievo. Mi sembrava di non riuscire più a far girare nulla a mio favore. Ho pensato perfino di avere il malocchio.” Ha riso, e quella risata sembrava una liberazione. Una crepa nella corazza, ma anche la prova che una parte di tensione aveva finalmente mollato la presa.

    Poi, senza che nessuno lo incalzasse, De Minaur ha affrontato uno dei temi più dibattuti dagli stessi giocatori: il calendario e i Masters 1000 lunghi due settimane. “Passare un mese fuori casa per giocare sei partite non è sano. Gli infortuni stanno parlando per noi. Serve pensare ai corpi, non solo ai format,” ha dichiarato, con una fermezza che rivela un pensatore più maturo del ragazzo che spesso viene liquidato come uno “solo corsa e cuore”.

    Quella di Torino contro Taylor Fritz potrebbe non essere la vittoria che cambierà la carriera al giocatore di Sydney, ma non la escluderemmo dall’elenco dei suoi personalissimi turning point, se essa dovesse imboccare la rampa di lancio nei prossimi mesi. Perché ieri Alex De Minaur non ha battuto solo un rivale: ha superato un avversario molto più insidioso, se stesso.

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